Patrocinio a spese dello stato

Patrocinio a spese dello stato


A cura di Susanna Pisano

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 1/2021

Con la sua prima sentenza del 2021 [1] la Consulta ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione….”
In forza della norma censurata, infatti, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati previsti – ossia diverse ipotesi di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale – viene determinata, espressamente in deroga, sulla base di un mero automatismo senza alcuna valutazione discrezionale in ordine alle soglie di reddito richieste in tutte le altre ipotesi.
Nel caso di specie, invero, la persona offesa dal reato di cui all’art. 609-bis c.p. (“violenza sessuale”) aveva presentato, in applicazione della norma, una istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato pur senza offrirsi di provare la sussistenza dei requisiti di reddito previsti dalla normativa. In tale fattispecie, già la Corte di Cassazione (sez. IV), con le sentenze n. 13497/2017 e n.2822/2018 ha sancito il diritto della parte offesa, proprio per tale qualifica, di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, senza limiti di reddito in quanto la ratio della scelta del legislatore va ricercata nella finalità di “assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale”.
Le questioni poste al vaglio della Consulta investono la compatibilità della norma con l’art.3 Cost per la assunta disparità di trattamento, conseguente all’aver negato al Giudice la valutazione sulle condizioni patrimoniali del/la richiedente con il possibile identico trattamento di situazioni eterogenee sotto il profilo economico; e con l’art. 24, comma 3, Cost. al fine di prevenire una ammissione indiscriminata e una ingiustificata estensione del beneficio a coloro non meritevoli con possibili gravi ricadute sul generale obiettivo di limitare la spesa pubblica in materia di giustizia.
Nel rigettare entrambe le questioni sollevate la Corte Costituzionale, non rilevando alcuna violazione del principio di ragionevolezza o di parità di trattamento, pone in rilievo come l’obiettivo dichiarato dal legislatore [2] di approntare un sistema di sostegno più efficace per le vittime di violenza contro le donne e i minori, incoraggiando a denunciare tali episodi, si traduca nella ratio della norma che, con una precisa scelta di indirizzo politico-criminale, tende a favorire l’emersione e il contrasto dei fenomeni di violenza, necessità spesso frustrata dal contesto sociale e dallo stigma che ne consegue. Tale valutazione appare al Giudice delle Leggi ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della discrezionalità del legislatore proprio perché l’istituto del patrocinio a spese dello Stato va ricondotto nell’alveo della disciplina processuale e la scelta effettuata con la disposizione in esame rientra nella piena discrezionalità del legislatore il cui solo limite è dato della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. La vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma, oltre alle esigenze di garantire al massimo l’emersione di tali reati, rende legittima la previsione che non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento.
Infine ricordando esempi di scelte simili operate dal legislatore in altre ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di reddito, la Corte specifica che il beneficio non rappresenta una presunzione di non abbienza delle persone offese da tali reati ma sarebbe invece da ricondurre proprio alla condizione di vulnerabilità delle vittime, ampiamente dimostrata da dati e studi scientifici.
Ad un più attento esame l’interesse e la portata della decisione, però, possono andare ben al di là del mero e “sterile” campo processuale, non potendosi escludere la idoneità del beneficio del patrocinio a spese dello Stato ad assolvere anche ad ulteriori finalità poste a garanzia dell’uguaglianza sostanziale come appunto l’agevolazione delle situazioni fragili e vulnerabili nell’accesso alla giustizia ex art. 3 Cost.
Proprio l’individuare nella fragilità di una o più tipologie di vittime di reati particolarmente odiosi il motivo derogante la regola generale dei limiti reddittuali manifesta una precisa scelta del legislatore di “privilegiare” tali vittime, operando per loro una presunzione assoluta anche in ragione della conclamata paura nel ricorrere alla denuncia e della difficoltà per il nostro ordinamento di far emergere tali casi.
Gli argomenti addotti dalla Corte aprono dunque alla valutazione di altre situazioni di pari vulnerabilità affinché tale disciplina di favore sia un reale strumento di uguaglianza e possano usufruirne tutti i soggetti che si trovino in una situazione equiparabile alle fattispecie dell’art. 76, comma 4-ter.
Meritevole di opportuno approfondimento, infatti, è per esempio la casistica delle discriminazioni di genere, ed in particolare quelle nel mondo del lavoro che a tale ambito può essere ricondotta.
Il Codice delle Pari Opportunità offre un quadro preciso delle discriminazioni di genere dirette e indirette e delle molestie anche sessuali sul lavoro e appronta i rimedi giurisdizionali per perseguire i relativi comportamenti discriminatori, indicando nell’Ufficio della Consigliera di Parità (nazionale, regionale e provinciale/metropolitana) l’organo deputato a ricorrere in giudizio insieme o in sostituzione della vittima. Tale Ufficio peraltro, privato fin dalla Finanziaria 2012 del Fondo Nazionale di ripartizione, a suo tempo attribuitogli dalla legge istitutiva, non è fornito di risorse allo scopo, così da risultare molto difficoltosa se non addirittura impossibile la denuncia giudiziale.
La vulnerabilità della vittima è, per il Codice P.O., connaturata non solo alla odiosità dei comportamenti sanzionati ma alla stessa asimmetria insita nel rapporto di lavoro e ai “condizionamenti” nel sopportare e non denunciare cui le vittime sono sottoposte nell’ambiente lavorativo tanto da prevedere a loro favore un’attenuazione del normale onere probatorio.
L’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato, senza limiti reddituali, sia per l’azione in giudizio della vittima di discriminazione e/o molestie, sia per quella della Consigliera di Parità potrebbe trovare giustificazione proprio nelle argomentazioni della Consulta e determinare il Legislatore ad intervenire con una precisa norma derogatoria.



Note:
[1] Corte Costituzionale Sentenza n. 1 del 3 dicembre 2020 pubblicata l’11 gennaio 2021
[2] D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge n. 38 del 2009; D.L. 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, nella legge n. 119 del 2013.

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